martedì 19 febbraio 2008

Il Fiore della Terra

Tredicesimo capitolo. La storia continua!
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Milano, martedì 8 Ottobre 2097, ore 16,30.


Nihat Piscaturi si sentiva particolarmente depresso.
Milano gli faceva sempre la stessa impressione negativa: ostile e nello stesso tempo indifferente.
L’indifferenza di un nemico stanco il cui odio non riesce a tradursi in azione.
Nihat non gradiva incontrarsi con il Coordinatore dei Centri Sociali, con quello sgradevole, infido personaggio dal nome assurdo, Ataulfo Tomaia.
Il doverlo incontrare in modo non ufficiale, quasi in segreto, aggiungeva irritazione al dispetto. Lo faceva sentire complice, sporco, sporco dentro.
Tant’era, l’ordine del Reverendissimo Presidente non poteva essere disatteso.

I Centri Sociali poco avevano più a che spartire con la realtà libertaria, ribelle e barricadiera di un tempo ormai lontano e definitivamente trascorso.
Il loro peso politico era tuttavia rimasto considerevole.
Il determinante appoggio da loro offerto al Movimento Islamico in occasione delle vittorie elettorali e referendarie degli anni ‘40 e ’50 era un conto aperto che il governo aveva dovuto pagare.
Pagare per scongiurarne l’opposizione, pagare per comprare una fruttuosa acquiescenza.
I Centri avevano così ottenuto importanti benefici, che avevano però finito col trasformarsi in una gabbia ideologica.
Erano divenuti una specie di territorio franco, dove la legge -islamica o comune che fosse- di fatto non si applicava. Il regime di rigida proibizione d’ogni tipo di droga (produzione, detenzione, spaccio e consumo di sostanze eccitanti e stupefacenti erano considerati peccaminosi, e come tali severamente puniti dalla legge islamica) si fermava alla loro porta.
Agli affiliati ed agli “invitati” era stato permesso di consumare droghe leggere all’interno dei Centri, in occasione d’eventi artistici e culturali. Di fatto, vi circolavano droghe d’ogni genere, anche le più pesanti, che vi potevano essere reperite in qualunque momento, a buon mercato, con garanzia di qualità ed igiene e con i mezzi d’assunzione più moderni e incruenti. Non mancava una qualificata assistenza medica in caso d’intolleranza o di overdose.
Di conseguenza, i Centri erano divenuti ricchissimi e conservavano una consolidata influenza politica ed ideologica.
La somministrazione di droghe non era la sola attività di rilievo dei Centri.
Vi erano eseguiti spettacoli teatrali nei quali un pubblico d’iniziati diveniva Parte.
Tali spettacoli erano molto seguiti anche da coloro che mai l’avrebbero ammesso. Avevano sostituito l’opera lirica. Commedia Collettiva del Post-Arte, così erano chiamati.
Il filo conduttore, canovaccio o soggetto che dir si voglia era di norma ispirato ad antichi fatti e personaggi rivoluzionari, rigidamente pre-islamici e preferibilmente ambientati nelle Americhe o in Estremo Oriente. La saga di Che Guevara, ad esempio, offriva ancora molti spunti, mantenendo vivo il ricordo del mitico personaggio.
Alcuni attori professionisti davano inizio all’azione ed enunciavano i caratteri. Cedevano poi la scena al “pubblico”, eccitato da sostanze esilaranti e allucinogene che venivano assunte anche per inalazione ambientale.
Costumi, drappi multicolori, maschere e quant’altro erano a disposizione di ciascuno.
Singolarmente o per gruppi, gli astanti interpretavano personaggi e creavano situazioni spesso di pura e spontanea invenzione, in un parossismo orgiastico.
Baccanali, rivoluzioni, trionfi e sconfitte, vendette, amori, esecuzioni, delitti, stupri: tutto e il contrario di tutto veniva simulato, e spesso consumato, in una sorta di rito misterico ed iniziatico.

I detrattori accusavano i Centri di gestire un postribolo ideologico e di essersi ridotti a “fumerie” di sostanze stupefacenti; i difensori ne esaltavano asserite funzioni liberatorie e culturali.
Fosse come fosse, i Centri destinavano parte dei loro proventi a sussidi e ricovero elargiti alle notevoli schiere d’emarginati e disoccupati, volontari e non, che si stavano ora ingrossando per effetto della crisi economica, e così incrementavano seguito e consenso.

L’incontro era stato fissato presso la sede del Circolo Culturale Islamico “Atta”, situato in luogo discreto e poco conosciuto.
Il Coordinatore non aveva rinunciato ad indossare quella che era divenuta l’uniforme degli affiliati ai Centri: larga tunica con motivi floreali, braghe alla turca, capelli e barba incolti e fluenti, scarpe di corda, occhialetti da nuotatore e, in capo, il rituale basco nero con la triplice stella a cinque punte.
Dopo un freddo saluto, il colloquio iniziò in una saletta riservata. Nihat e Ataulfo avevano a fianco i rispettivi assistenti.

Mi auguro, esordì il Coordinatore che appariva alquanto diffidente, che il governo non intenda mettere in discussione i nostri privilegi ed i nostri spazi culturali, conquistati a prezzo di durissime lotte.
Il Capo della Polizia rimase per qualche istante in silenzio, perduto nel sogno di poter fare quanto temuto dal Coordinatore, e peggio.
No, nel modo più assoluto. Si rassicuri! rispose.
Gradirei allora conoscere il motivo di questa convocazione, da noi non sollecitata!
Nihat esitò ancora, poi parlò nervosamente, rapidamente.
La crisi economica, esordì, richiede misure immediate e radicali, prima di divenire irreversibile e distruttiva.
Il volto di Ataulfo era una maschera di pietra, inespressiva e impenetrabile.
Il Reverendissimo Presidente, il Governo e il Sublime Consiglio degli Ulema ritengono che la responsabilità della crisi ricada interamente sui contadini e sugli artigiani di religione cristiana che producono troppo poco e sui fuoriusciti di Giovane Italia che, dopo aver sfruttato e impoverito la terra italiana, si godono le fertili terre d’Africa a loro generosamente concesse senza reinvestire nella madre patria i cospicui profitti conseguiti!
L’espressione di Ataulfo rimaneva impenetrabile, quasi assente.
Il Reverendissimo Presidente, continuò Nihat, ha pertanto deciso di costringere i fuoriusciti a rientrare in patria e di restituire le terre d’Africa agli italiani di religione musulmana che intendano emigrarvi. Ha inoltre deciso di costringere i contadini e gli artigiani cristiani a lavorare di più e meglio.
L’espressione del Coordinatore appariva ora attenta, anzi allarmata.
L’Eccellentissimo e Reverendissimo Presidente vuol sapere se potrà ancora contare sul vostro appoggio e sulla vostra cooperazione informativa, così efficace e benemerita in passato! concluse Nihat.

Ataulfo era ora assorto. Nella sua mente si agitavano folle di sradicati provenienti dall’Africa, con le tasche ben piene di valuta pregiata, masse d’artigiani e contadini stressati e iracondi. Un nuovo proletariato per una nuova rivoluzione, un ottimo humus per far prosperare il potere e la ricchezza dei Centri.
Si consultò rapidamente con i suoi assistenti, sottovoce.
Rassicuri il Presidente, rispose.
I nostri Centri Sociali, a patto che i loro privilegi e diritti acquisiti non siano minimamente toccati, assicureranno appoggio e sostegno immutati. Le nostre fonti informative saranno a disposizione!
Venne servito il tè, mentre gli assistenti stendevano il testo di un breve protocollo d’intesa.
Il Capo della Polizia e il Coordinatore dei Centri Sociali sorbirono la bevanda in silenzio, ognuno assorto in contrapposti pensieri.
Dopo la firma e lo scambio delle copie di un protocollo che in cuor suo nessuno intendeva rispettare si salutarono freddamente e se n’andarono.
In silenzio.


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