venerdì 22 febbraio 2008

Il Fiore della Terra

Quattordicesimo capitolo. Avanti con l'avventura!
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Giobertide, mercoledì 23 Ottobre 2097, ore 19,00.


Il viaggio era stato faticoso e non privo d’imprevisti.
L’imbarco a Civitavecchia per Bastia, territorio dell’Unione Europea, era stato forse il momento più pericoloso, a causa dei pignoli e vessatori controlli effettuati dalla polizia islamica.
Per sua fortuna, Lucio poteva contare su molti amici e su molte connivenze.
Il volo per Tenerife, via Madrid, era stato ottimo e rapido, grazie ai supermoderni aerei ultrasonici in dotazione alle linee europee.
Al porto di Tarfaya era giunto a bordo di un peschereccio spagnolo, travestito da marinaio per sfuggire a possibili controlli da parte di motovedette islamiche. Lucio sapeva di essere ormai nella lista dei sospetti.
Il mare grosso aveva scongiurato i controlli ma creato altre difficoltà. Una fastidiosa tempesta di sabbia durante il tragitto verso Giobertide, la capitale di Giovane Italia, aveva aggiunto fastidio alla stanchezza.
Alla fine era giunto, spossato ma incolume.
Il Gonfaloniere, On. Franco Balla, l’attendeva a rapporto per il giorno seguente.

Giobertide non era gran cosa come città.
Fondata e sviluppata all’insegna del provvisorio, a pianta quadrata con strade a reticolo e gran piazza al centro dove s’incrociavano cardo e decumano, sembrava un antico castro romano.
Gli edifici erano bassi, piatti, spesso composti d’elementi prefabbricati forniti dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, nell'ambito degli aiuti sempre generosamente assicurati.
Due aspetti particolari rendevano la città interessante ed in qualche modo speciale: i segni di una profonda e quasi ostentata fede religiosa, rigorosamente cattolica e l’impressione di una generale prosperità.
Un gran numero di edicole, capitelli votivi, immagini sacre e piccole chiese (tutte con affissi avvisi che assicuravano messe in latino) testimoniava la fede; i negozi e le vetrine rutilanti e stracolme d’ogni ben di dio vantavano ricchezza.
Ciò che mancava, che non si sentiva nell’aria, era la gioia di vivere. Si rideva poco a Giobertide, come del resto nelle altre cittadine di Giovane Italia. In compenso si lavorava molto, con rabbia, con la rabbia di chi voleva dimenticare un tormento segreto, un’angoscia esistenziale.
Non a caso l’inno nazionale era il “va pensiero” di Verdi.
Gli abitanti di Giovane Italia continuavano a sentirsi e ritenersi in esilio, un esilio che, nei loro voti, conservava carattere di temporaneità. Si capiva bene, insomma, che la loro massima aspirazione era di tornare un giorno nella Madre Patria, anche a costo di trovarvi la miseria e di lasciare una prosperità guadagnata a prezzo di un duro lavoro.

Lucio prese alloggio presso la foresteria dell’Organizzazione cui apparteneva, Giustizia e Libertà.
Dopo un frugale pasto andò a letto, affranto.
Il giorno dopo sarebbe stato difficile e importante.
Il sonno lo colse mentre rileggeva i suoi appunti ed il testo della fatwa, mentre pensava a ciò che avrebbe detto, all’indomani, al molto onorevole Gonfaloniere ed ai suoi Ministri.



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